
Intervista a Frank: l’inglese si insegna con il sorriso
C’è chi pensa che per insegnare l’inglese basti conoscere bene la grammatica. E poi c’è chi, come Frank, madrelingua inglese e docente alla British School International House, trasforma ogni lezione in un’esperienza coinvolgente fatta di dialogo, ascolto attivo e piccoli momenti di svolta che accendono la motivazione. Lo abbiamo intervistato per capire cosa rende davvero efficace l’insegnamento della lingua, soprattutto con i ragazzi.
Frank, qual è la prima cosa che noti quando entri in classe?
La voglia di capire e partecipare, ma anche un po’ di timore. Molti ragazzi arrivano con la convinzione di “non essere portati” per l’inglese, spesso perché lo associano a regole, voti e correzioni. Il mio primo obiettivo è far capire loro che non sono lì per essere giudicati, ma per imparare in modo autentico. Basta creare un’atmosfera rilassata, proporre argomenti vicini ai loro interessi e tutto cambia: si aprono, parlano, si divertono.
Cosa rende l’insegnamento ai ragazzi diverso rispetto ai bambini o agli adulti?
I ragazzi hanno bisogno di sentirsi ascoltati e coinvolti. Hanno una soglia di attenzione più alta rispetto ai bambini, ma anche più aspettative. Vogliono capire perché stanno facendo qualcosa. Quindi cerco di dare sempre un contesto reale: video, canzoni, discussioni su temi attuali, simulazioni di situazioni quotidiane. E poi, soprattutto, serve empatia. Se un ragazzo sente che tu credi in lui, farà di tutto per superare i suoi limiti.
Qual è, secondo te, l’elemento chiave del vostro metodo?
La comunicazione autentica. Alla British School IH puntiamo su un approccio comunicativo, che mette al centro la persona e la sua capacità di usare l’inglese nella vita reale. I ragazzi non imparano per ripetere frasi a memoria, ma per interagire, esprimere opinioni, comprendere l’altro. Ogni attività – anche la più semplice – è pensata per incoraggiare la partecipazione attiva e la fiducia nelle proprie capacità.
Hai un episodio che ti è rimasto impresso?
Sì, una ragazza di terza media che all’inizio del corso non diceva una parola in inglese, paralizzata dalla paura di sbagliare. Abbiamo lavorato piano piano, usando dialoghi, giochi di ruolo, canzoni e video. Un giorno, durante una simulazione di colloquio, ha parlato per due minuti di fila con una naturalezza sorprendente. Alla fine mi ha detto: “Mi sono dimenticata che stavo parlando in inglese!”. Ecco, per me quello è stato un momento magico.
Cosa diresti a un ragazzo che pensa che l’inglese non faccia per lui?
Gli direi che non esiste “essere portati” o meno. Esiste il metodo giusto, il ritmo giusto e soprattutto l’ambiente giusto. L’inglese non è un ostacolo da superare, è una chiave per aprire nuove porte. E il primo passo è iniziare a viverlo non come un compito, ma come un’opportunità. Anche sbagliare fa parte del gioco: l’importante è provarci, con serenità e curiosità.
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